Tullio Morgantini
Nacque a Sarteano (Siena) il 2 Marzo 1879, da Amadio e Firmina Cesarini. Era
secondogenito di nove fra fratelli e sorelle: Tullia (1876), Teodolinda (1881),
Giulio (1883), Giulia (1887), Maria (1888), Giovanni (1889), Medea (1892),
Antonio (1894).
Fin da bambino dimostrò spiccata attitudine per il disegno, e fu ricordata a
lungo a Sarteano la sua abilità nel ritrarre con pochi tratti di matita gli
avventori del negozio del padre ed i maliziosi tentativi di alcuni di loro per
impadronirsi di qualche moneta che sembrava abbandonata, ma in realtà era solo
disegnata sul marmo del banco di vendita.
Compiuti gli studi elementari volle andare dodicenne a Roma per seguire la
naturale inclinazione verso l’arte, pur sostenendo lotte e contrasti con il
padre che voleva che lo aiutasse nel negozio che dalla passata floridezza,
andava allora declinando, tanto che dopo qualche anno di crescente difficoltà
giunse ad un dissesto che costò la vita al capo-famiglia.
Per frequentare l’Istituto delle Belle Arti, data la crescente inconsistenza
degli aiuti paterni si adattò a vivere nel soppalco dell’officina dello zio
materno Francesco Cesarini, dormendo da un falegname amico in una cassetta piena
di trucioli e mangiando pane e cipolle. Partecipò anche alle lezioni gratuite
delle Accademie straniere e nei giorni festivi, quando l’ingresso ai Musei
Vaticani era libero, passava ore lì studiando e copiando i capolavori dei grandi
pittori. In quei casi, con avendo una camicia con il colletto inamidato – come
era prescritto – applicava alla sua maglietta nera un colletto di cartoncino
bristol… Ai corsi di Storia dell’Arte di Adolfo Venturi, seguì anche le lezioni
di Enrico Ferri che “trascinava con la sua parola suadente ed infiammata” la
gioventù, contribuendo alla sua formazione riformatrice, per migliorare le
tristi condizioni sociali dei lavoratori.
Terminati brillantemente gli studi, aprì insieme all’amico architetto Alberto
Calza-Brini - a cui si deve un libro sull’artista edito nel 1949 nello
Stabilimento Tipografico dello zio di Tulio Morgantini Serafino Gentilini - uno
studio in Via Fausta a Roma. Data la sua formazione, i primi quadri erano
ispirati a motivi di lotta sociale, sembrandogli “che l’arte, senza uno scopo
educativo e politico ben dichiarato non avesse ragione di esistere”. A questa
sua convinzione si deve anche il grande quadro che suo figlio Edmondo, noto
Professore di Matematica dell’Università di Padova, donò nel 1984 tramite la mia
amicizia al Comune di Sarteano. Il quadro rappresenta una Trebbiatura del 1932
ed occupa tuttora, cioè nel 2012, una parete dello studio del Sindaco di
Sarteano. La trebbiatura era l’avvenimento principale per i mezzadri, e durante
la trebbiatura cominciarono i primi movimenti sociali che portarono al ‘lodo De
Gasperi’, cioè a un più equo rapporto fra il mezzadro e il padrone.
Il suo “Notturno toscano”, esposto nel 1901 alla Mostra annuale degli amatori e
della ‘In Arte libera’ di Roma piacque al pubblico e alla critica. “Nessuna
figura lo animava, ma era come si presentisse che un solo essere vivo potesse
essere presente: il Cristo dolorante che nell’Orto del Getsemani sudò sangue per
la salvezza dell’umanità”. Il quadro fu acquistato dal Ministro della Pubblica
Istruzione.
Il successo ottenuto con quella Mostra, lo spinse a iscriversi a un concorso
nazionale per la cattedra di insegnamento negli Istituti Tecnici, bandito dal
Ministero dell’Istruzione. In quel tempo sentiva probabilmente un senso di colpa
per essere stato lontano dalla famiglia in momenti drammatici che avevano
portato il padre a una tragica fine nel 1901., e quindi la necessità di avere
uno stipendio. Il concorso fu una prova assai dura e piena di sacrifici, e
permise a Tullio di ottenere una cattedra di Disegno in Piemonte.
Così si assunse il compito di provvedere alle spese per l’educazione dei due
fratelli più piccoli, Giovanni e Antonio, facendo le veci dei genitori. Fu
Maestro scrupoloso, alacre, smanioso di aggiornarsi, ma non abbandonò l’attività
artistica. Margherita Misericordia e dal matrimonio nacquero due figli, Edmondo
(1916-1987) e Gabriele, (1918-1988). Del periodo piemontese rimasero ai due
figli due pastelli:”La Fisica” e “Ritratto di vecchio” e alcuni finissimi
acquarelli fra i quali “Il ruscello”e “La casa del mulino” dipinti a Sarteano.
Dal 1902 al 1906 insegnò nelle Scuole Tecniche a Stradella, Fossano e Carrara;
dal 1906 al 1913 a Caltanissetta, Alessandria, Mondovì e Caserta; dal 1913 al
1923 a Perugia nell’Istituto Tecnico; dal 1923 al 1933 al Liceo Scientifico,
sempre a Perugia; dal 1933 al 1947, cioè fino alla morte seguita a un edema
polmonare, nel Liceo Scientifico di Padova. Ogni anno, in estate, tornava a
Sarteano.
Il suo carattere schivo e melanconico e la sua mancanza di ambizione, fecero sì
che le sue opere non fossero esposte a mostre e forse ne impedirono una più
larga fama, che sarebbe stata meritatissima.
A Sarteano restano soltanto la grande “Trebbiatura” di cui primo ho scritto, un
quadro della Madonna del Rosario esposto nella Chiesa di San Martino e quattro
bellissimi Drappelloni conservati nelle sedi delle Contrade che vinsero in
quegli anni la Giostra del Saracino: Sant’ Andrea (1933), San Bartolomeo (1934 e
1936, San Martino (1935).
In una mostra postuma organizzata a Padova nel 1949 furono esposti molti suoi
lavori: “Colline toscane”, “Sarteano”, “La montagna”, “Castello”, “Perugia sotto
la neve”, “Sole, alberi e case”, “Ritratto di vecchia”, “Autoritratto”, “Todi”,
“Paesaggio umbro”, “La ferratura”, “La fontana di Perugia”, “Al sole”, “Subiaco”,
“L’abbeverata”, “Le vendemmiatrici”, “Buoi al guado”, “Ritorno all’ovile”, “Al
pascolo”, “Tramonto”, “Cipressi”, “Gli stalli del coro di San Pietro a Perugia”,
“Ritratto di vecchio”, “Buoi al guado”, “Chiesetta a Perugia”. Altri suoi quadri
sono riprodotti nel libro sopra citato; fra questi : “La loggia dell’Ospedale”,
“Crepuscolo piemontese”, “Pastorella umbra”, “Mercato a Sarteano”, “Pagliai al
tramonto”, “Ortaggi”, “Sarteano dal Mulin Martello”, “Case e pagliai”, “La
ciminiera della Fornace”, “Sulla via di Cetona”, “Sarteano, la Croce e Porta San
Martino”, “Colline toscane”, “Dalla finestra”, “Chiesetta a Perugia”, “Mia
moglie lavora”.
Alla morte del pittore, le sue opere furono ereditate dai due figli che li
conservavano gelosamente, ma terminarono la vita terrena quasi
contemporaneamente, lasciandoli ai nipoti di Tullio.
Tullio Morgantini può essere annoverato fra i “post-Macchiaioli”, anche se si
distingue per la sua particolare personalità.
Carlo Bologni