LA GUERRA A CASTIGLIONCELLO DEL TRINORO


Storia della lapide sulla facciata della Chiesa di Sant’Andrea
Testimonianza di Mario Gori

A Castiglioncello del Trinoro, sul muro della facciata della Chiesa di Sant’Andrea c’è una lapide che ricorda quanto avvenne il 16 Giugno 1944.
In quel nefasto giorno di circa 68 anni fa, verso le due del pomeriggio andai al podere Santa Maria a prendere il latte di capra per mio fratello Umberto, che era malato. Presi una strada attraverso il bosco, evitando la strada principale verso Sarteano, e quando giunsi sopra al podere Palazzolaccio fui fatto bersaglio da raffiche di mitraglia; non rendendomi conto di quanto stava succedendo – avevo 13 anni – continuai per la mia strada.
Giunto nei pressi del podere S.Maria incontrai Giovanni Tamagnini che stava scappando, con la famiglia, per rifugiarsi a Castiglioncello. Da loro venni a sapere che un soldato tedesco era stato ucciso e che era in atto una rappresaglia. A quel punto mi unii a loro, ma il percorso fu una vera odissea , in quanto la mamma di Giovanni era molto anziana e malandata e la figlia Ottavia aeva poco più di un anno; ma alla fine, come Dio volle, arrivammo a Castiglioncello.
Tutto era cominciato così: due soldati tedeschi, a bordo di un camioncino targato Viterbo, in cerca di viveri, andarono al podere Tre Case,, abitato da Vittorio e Sabatino Bernardini con le relative famiglie e pretesero prosciutti e altri beni di sussistenza. La massaia sapeva che al podere S.Maria c’era un gruppo di partigiani; andò da loro riferendo l’accaduto e chiedendo di intervenire per recuperare quanto era stato sottratto ed evitare altre prepotenze. Questi stavano mangiando ma alcuni decisero di intervenire immediatamente. Si appostarono al fosso del Sorbo armati di fucili da caccia. Quando transitò il camioncino, lo assalirono ferendo a morte un soldato e rovesciando il mezzo nel fossato. L’altro tedesco, benché ferito, riuscì a fuggire e a giungere al podere Fornace Grottanelli , abitato dalla famiglia Cioli. In quel momento transitava una moto guidata da un portaordini che soccorse il ferito, lo prese a bordo e insieme andarono alla Foce dove c’era in sosta un’autocolonna tedesca in ritirata. Informato dell’accaduto, il comandante dell’autocolonna decise di inviare un mezzo blindato sul posto. Giunti che furono, incendiarono il podere ‘il Sorbo’ abitato da Gino Pellegrini con la moglie e cinque figli, che per puro miracolo riuscirono a fuggire. I Tedeschi proseguirono poi verso il podere Tre Case cercando di incendiarlo ma senza riuscirci, e poi si diressero alle stalle uccidendo dei buoi e diverse pecore. Nel frattempo gli abitanti del podere si erano messi in salvo. I Tedeschi intuendo che i partigiani si erano dileguati nei boschi pararono alcune raffiche a caso, proprio nel momento in cui io stavo transitando.
Intanto, nella stessa mattina, una decina di soldati tedeschi con un loro capitano, giunsero in paese chiedendo dei viveri; ogni famiglia contribuì, secondo le proprie possibilità: Qualcuno si unì al pranzo dei tedeschi, fra i quali Agostino Maglioni (detto il topo) che rimediò una solenne sbornia. Nel pomeriggio i Tedeschi stavano lasciando il paese, mentre i loro commilitoni mitragliavano i boschi tentando di stanare i partigiani e alcune raffiche passarono sopra i loro compagni che, sentendosi minacciati, risposero al fuoco e tornarono indietro. Ciò indusse agli altri a salire anch’essi in paese e appena giunti cominciarono a fare un rastrellamento. Per prima cosa bussarono alla porta della casa di Amerigo Bai che, dopo molte insistenze, si decise ad aprire; appena aperta la porta gli spararono e cadde a terra agonizzante. Aveva in braccio il figlio Gastone di circa due anni, che un soldato raccolse e lo baciò, poi abbracciò la moglie della vittima. I Tedeschi entrarono quindi in casa e fecero uscire le persone che vi erano dentro, costringendole a scavalcare il corpo del Bai che nel frattempo era morto. Nella casa, oltre alle donne e ai bambini c’erano Basilio Mazzuoli (con il figlio Marcello in braccio) che si salvò nascondendosi dietro alla porta della camera del Bai, e Metello Severini (fratello dell’infermiere Severino), che si nascose sotto il etto del povero Bai attaccandosi sospeso sotto la rete; quando un Tedesco tastò sotto il letto con un moschetto, non se ne accorse. Subito dopo andarono alla casa di Lorenzo Maglioni che chiuse loro la porta in faccia; come risposta crivellarono la porta di colpi mentre lui era dietro, ma non era giunta la sua ora e rimase illeso.
Subito dopo, rastrellarono una quindicina di uomini e li portarono nella piazzetta davanti alla Chiesa per fucilarli. Di loro ricordo alcuni nomi: Orniello Quattri, Leopoldo Maglioni, Roberto Maccari, Quirino Salvadori, il parroco don Enrico Bellucci, Carlo Gori, Siro e Bruno Martini (che erano stati rilasciati al mattino perché indiziati di alcuni fatti avvenuti a Contignano), Tullio Valenti, suo nipote venuto da Roma, Giuseppe Cecchini (sfollato da Portoferraio). E appunto il Cecchini,, l’unico che parlava un po’ il tedesco avendo lavorato in Germania, iniziò a dialogare con i Tedeschi per far capire loro che le persone presenti erano innocenti, ma i militare non sentivano ragione e cominciarono a piazzare una mitragliatrice. Mentre erano intenti alla preparazione della medesima, Maccari e Salvadori saltarono il muro alto circa tre metri sui campi e sulla stradina sottostanti e si dettero alla fuga. Maccari, più esperto perché aveva partecipato alla guerra in Spagna, correva a zig-zag, ma Salvadori, correndo via diritto, fu colpito dal mitra. Approfittando dello scompiglio, Emilio Valenti sgaiattolò via verso la casa del nonno dalla parte della piazzetta opposta alla Chiesa. Quando se ne accorsero, lo inseguirono, ma lui riuscì a entrare e a sbarrare la porta. Sopra alla porta c’era una rosta di vetro che i Tedeschi ruppero e da lì buttarono una bomba a mano, ma Emilio fortunatamente non fu colpito.
Intanto il rastrellamento continuò fino a che i Tedeschi trovarono una cantina. Fecero uscire tutte le persone che vi si erano nascoste, e fra esse c’era anche Emilio che riconobbero; lo portarono davanti alla scuola e gli spararono gettandolo giù da una rupe alta circa 60 metri, che distava da l’ circa 20 metri.
Nel frattempo, in piazza proseguiva il dialogo fra il Cecchini e i Tedeschi, i quali decisero di lliberare lui e il parroco. Il Cecchini però disse: siamo tutti innocenti, perciò tutti liberi o tutti morti”. Carlo Gori si inginocchiò davanti a un tenente chiedendogli pietà dicendo: “ho moglie e quattro figli”, ma il tenente lo prese per i capelli , lo alzò e lo rimandò in fila dicendo: “anche il tedesco che avete ucciso aveva moglie e figli”. Mentre si protraeva la discussione, quei Tedeschi che erano stati in paese fin dal mattino , ritornarono in piazza e, visto ciò che stava accadendo, si misero a ricostruire i fatti e capirono che si erano sparati fra loro.
Riconoscendo le persone con le quali erano stati quasi tutto il giorno, decisero di liberarli. Un tenente si oppose ed estrasse la pistola per sparare., ma il capitano gli dette un colpo sul braccio, facendogli cadere l’arma dicendo: “qui comando io”. Dette quindi l’ordine di tornare alle proprie case e quando si furono incamminati sulla strada e ordinò di correre. I rastrellati si impaurirono, tranne il Cecchini e don Enrico che erano rimasti con il capitano. La paura fu tanta che Leopoldo Maglioni correndo non si fermò neppure a casa e oltretutto cascò da un muro e si ruppe un piede.
Quando tornò un po’ di pace fecero un appello cercando ci capire chi mancava. Alcuni si affacciarono sopra la balza davanti alla scuola e sentirono dei lamenti; dato che si era fatto buio non capirono chi fosse, ma intravedendo un uomo un uomo impigliato tra le frasche dedussero fosse un Tedesco. Il terrore tornò in paese. Intanto comparve il Valenti che cercava suo nipote, così si fecero coraggio e a lume di candela andarono a vedere chi era l’uomo ferito. Era Emilio agonizzante. Lo portarono in parrocchia per somministrargli l’estrema unzione. Allora don Enrico si improvvisò medico e constatò che una pallottola era entrata vicino alla trachea e uscita vicino alla cervicale, senza compromettere le funzioni del collo, e incomiciò a curarlo. Ricordo che introduceva della garza nel foro d’entrata della ferita e la faceva uscire dall’altra parte. Questo veniva fatto due volte al giorno usando come disinfettante del cognac , fino a che non arrivarono gli Alleati che continuarono a curarlo con la penicillina. Tutto volse al meglio: Emilio guarì perfettamente senza postumi. Un capitano medico degli Angloamericani volle conoscere don Enrico per congratularsi della riuscita del caso.
Ritornando alla nostra vicenda, a notte fonda rientrò Maccari, ma non Salvadori. Il mattino seguente fummo informati da Ilio Giubbilei che Salvadori era ferito all’addome e ospitato in casa sua nel podere Sforzesca. Lo stesso giorno, con un carro trainato da buoi (per una parte del percorso sembra che sia stato caricato nel ‘carrino di volata’ della Misericordia, un cimelio tuttora conservato – N.d.r.), fu portato all’ospedale di Sarteano per tentare un intervento, ma mentre allestivano la sala operatoria gli Alleati bombardarono il paese proprio nella zona dell’ospedale e l’intervento fu sospeso. Sopraggiunse una peritonite e Salvadori (che era mio zio) il 20 Giugno morì.
In ricordo di questa triste vicenda fu apposta la lapide tuttora ben visibile sulla facciata della Chiesa, dove sono scolpite queste parole: “Il popolo di Castiglioncello festeggerà ogni anno il 16 Giugno 1944 e grazie renderà a Dio per averlo salvato quando la ferocia tedesca si scatenò sul paese. Scolpiti nell’animoporterà i nomi di Bai Amerigo e Salvadori Quirino vittime innocenti di quel giorno. Riconoscente affetto serberà all’interprete Cecchini Giuseppe che con coraggio e fermezza si adoprò per limitare l’ingiusto e barbaro eccidio. 16 Giugno 1944”
Ringrazio la redazione di Montepiesi per avermi concesso lo spazio e l’opportunità per far conoscere quello che avvenne a Castiglioncello del Trinoro in quel triste giorno ormai remoto, ma sempre presente nei miei ricordi.


Mario Gori


(Sull’episodio hanno scritto vari autori, fra i quali iris Origo in “Guerra in Vald’Orcia”, Giorgio Bologni in “Guerra in Valdichiana”, Fabio Masotti in “1943-1944 – Itinerari nei luoghi della memoria”, Alfonso Giordano in “Contignano” – N.d.r.)